«Omne Verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est»

«Omne Verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est» 

 

Alberto Strumia*

 

«Omne Verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est» - I testi di Tommaso - I testi di Tommaso

Introduzione

Una delle parole più preziose — specialmente  considerando questo periodo della storia nel quale ci troviamo a vivere — è certamente la parola Verità, in tutte le sue possibili e innumerevoli analoghe modalità di attuazione, che fanno capo, traendone pienezza e vigore, a quel Sommo Analogato che è Cristo stesso, il quale non ha mancato di avere per noi la carità di definirsi tale: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6). Una straordinaria e assolutamente unica Caritas Veritatis

[1]

(genitivo soggettivo) nei nostri confronti, distribuita in ogni luogo e in ogni tempo, anche verso di noi, uomini di oggi, chiamati a stare nel tempo del relativismo,

[2]

per attirarci e abilitarci a vivere, a nostra volta, una nostra caritas Veritatis (genitivo oggettivo). Quale altra forma di caritas sarebbe mai possibile se venisse contrapposta alla veritas? Non è forse un inganno dei peggiori il distribuire «amorevolmente» (!) la menzogna? E dire che è proprio quello che continuamente oggi si è almeno tentati e spinti a fare, consapevolmente o meno: in nome di una purtroppo solo apparente carità si stempera la verità fino a farla svanire. Consiste forse in questo il tanto conclamato dialogo? Non consiste, piuttosto, nella condivisione dell’unica verità oggettiva che già le due parti che si confrontano riconoscono di avere, almeno germinalmente, in comune e nella correzione degli errori mediante argomentazioni la cui correttezza possa essere controllata razionalmente da entrambe, per tendere alla pienezza della verità, riconoscendola là dove si trova?

La scienza — quando è genuinamente tale — sembra essere rimasta l’unica forma di cultura ad avere conservato il metodo della dimostrazione argomentativa, insieme ad un attaccamento alla realtà tramite l’esperienza, fattori per altro entrambi sempre custoditi anche e primariamente nel patrimonio della tradizione cattolica. Ma occorre un passo ulteriore: il vero problema odierno è il problema epistemologico, nel senso di una fondazione ritrovata della verità oggettiva. Solo su questa base è possibile la comunicazione, il dialogo, l’argomentare che dimostra e, ultimamente l’esercizio della razionalità; con tutte le conseguenze pratiche sul piano etico, giuridico, sociale e politico. Per questo occorre pregare lo Spirito Santo perché illumini le menti abituate all’esercizio di un pensiero rigoroso che non sfugge la realtà, affinché siano dati questi fondamenti di verità, con il linguaggio che oggi le scienze sono capaci di utilizzare e a tutti gli esseri umani il frutto di un equilibrio di vita sano e maturo.

 

Oggi, «una grande sfida ci aspetta… quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza;… è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge».

[3]

 

Con questi, e altri, pensieri nella mente mi sono trovato a riprendere in mano il denso saggio teologico «Sullo Spirito di Dio», del Card. Giacomo Biffi, maestro ambrosianamente sicuro ed elegantemente chiaro di quella Verità, e… ho trovato, tra l’altro, che in quel testo la parola «verità» compare ben venticinque  volte; addirittura più frequentemente di quanto non compaia la parola «libertà» (undici volte) che il Cardinale certamente predilige, quando sgorga dalla parola «fede» (che compare ben settanta volte) avendola collocata anche nel suo motto episcopale «Ubi fides ibi libertas».

[4]

E mi è subito dopo venuta alla mente quell’altra formula che Egli ha non di rado impiegata, e che lega insieme inseparabilmente la verità allo Spirito Santo: «Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est»,

[5]

dotata di una potente forza di suggestione per chi la incontra.

Consultando l’indice del Liber Pastoralis Bononiensis,

[6]

del medesimo autore, vengo rimandato al testo «Il dialogo. Riflessione teologica»

[7]

ove si legge, a questo proposito:

 

Le intelligenze umane, anche se di solito non arrivano a percepirlo, sono spesso «pneumatizzate» quando si pongono sinceramente al servizio della verità.

Si può dire, anzi di più: appunto perché il disegno di Dio è unico e unificante, dovunque c’è un effettivo e disinteressato culto della sapienza lì c’è l’influsso dello Spirito che purifica le menti e le rende feconde. Cristo è la verità (cf. Gv 14,6); perciò dovunque c’è un’ombra di verità, c’è una sia pur tenue presenza di Cristo, operata da colui che il Signore stesso ha chiamato «lo Spirito di verità» (cf. Gv 16,13).

 

«A quocumque dicatur»

 

Tutto ciò è comunicato dal celebre aforisma che, posto sotto l’autorità di sant’Ambrogio, era molto caro a san Tommaso […]: «Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est» («Ogni verità, da chiunque sia detta, provine dallo Spirito Santo»).

La frase in realtà si trova in un’opera un tempo attribuita al santo Vescovo di Milano, che invece è di un autore misterioso, covnezionalmente chiamato «Ambrosiaster»; e si ritrova in questa precisa forma: «Quidquid verum a quocumque dicitur, a Sancto dicitur Spiritu» (In primam ad Cor. C. xii,123).

 È un’affermazione […] molto preziosa, perché riconosce non solo l’esistenza di un irradiamento «pneumatico» che va ben oltre l’area dell’appartenenza ecclesiale,  ma anche che possiamo e dobbiamo ascoltare — addirittura con l’interesse e la venerazione riservati alla Rivelazione — ogni parola di luce, una volta riconosciuta come tale, da qualunque bocca venga pronunciata.

[8]

 

Sono, così, stato indotto da una certa curiosità a ricercare

[9]

i passi nei quali san Tommaso richiama questa impegnativa formula e ad indagare in quali sensi la impiega.

[10]

Lo scopo di questo breve contributo è quello di esaminare, almeno, a grandi linee alcuni di questi testi.

 

I testi di Tommaso

La formula dell’Ambrosiaster «Omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est» viene riportata da Tommaso, nella maggioranza dei casi tra le obiezioni che precedono il respondeo di un articolo, ma anche nei sed contra, e talvolta nel corpo dell’articolo e nelle risposte alle obiezioni. Anzitutto si deve rilevare come in tutte le citazioni lo Spirito Santo, coerentemente con la dottrina tomista su Dio, viene identificato con il Dio uno, come soggetto di un influsso causale ad extra, cioè non intratrinitario ma di Dio nei confronti della creatura, e in particolare dell’uomo, in quanto soggetto razionale, capace sia di una conoscenza astrattiva e deduttiva (naturale), sia di una conoscenza di fede (soprannaturale), sotto l’azione della grazia. L’attribuzione di questa azione a Dio come Spirito Santo è manifestamente di origine scritturistica, come si rileva anche nei testi tratti dai Commenti biblici.

Tommaso opera sistematicamente una precisa analisi metafisica dell’azione causale di Dio nel confronti dell’uomo. La causalità esercitata da Dio sull’intelletto umano che conosce il vero può essere di tipo:


  

fisico, cioè


o  

formale per rapporto all’essenza, alla natura immateriale dell’intelletto umano  e materiale degli organi corporei dei quali si serve per conoscere il vero e alla loro concreta esistenza;


o  

efficiente per rapporto agli atti dell’intelletto e dei sensi necessari al conoscere il vero che vengono posti in essere nel conoscere;


  

esemplare, in quanto la Verità, che è Dio stesso, rappresenta il modello eminente di ogni verità attuata nella creazione e conosciuta dagli intelletti creati e dall’uomo in particolare;


  

soprannaturale ed elevante in quanto illumina l’intelletto fino a portarlo ad emettere volontariamente un atto di fede teologale mediante la grazia.

 

Lo Spirito Santo causa efficiente ed esemplare di ogni verità

In I Sententiarum ds. 19, qu. 5, ar. 2 - Tutte le verità traggono la loro verità dalla Verità incerata

In questo primo testo l’affermazione secondo la quale ogni verità è una sorta di partecipazione della Verità divina si scontra con l’obiezione (arg. 5) che anche l’esistenza del male è una verità constatabile, ma il male non può essere una partecipazione della Verità divina.

 

Mala fieri est verum. Sed nullum malum est a Deo.

Ergo videtur quod non omnia vera sint vera Veritate increata.

 

Tommaso risolve l’obiezione osservando che il male come tale non viene da Dio, e la verità non consiste tanto nel male, quanto nel (ri)conoscerlo come tale mediante l’intelligenza: questa conoscenza è buona e vera , viene da Dio, e come dice «Ambrogio»

[11]

viene dallo Spirito Santo.

Il corpo dell’articolo spiega come le verità sono molteplici formalmente in quanto nell’essere non coincidono né tra di loro né con la Verità divina, ma sono da questa causate efficientemente ed esemplarmente ed è su quest’ultimo aspetto che Tommaso pone particolarmente l’accento in questo testo.

[12]

 

Respondeo dicendum, quod, sicut dictum est, art. antec., ratio veritatis  in duobus consistit:

—in esse rei,

—et in apprehensione virtutis cognoscitivae proportionata ad esse rei.

Utrumque autem horum quamvis, ut dictum est, distin. 8, quaest. 1, art. 1, reducatur in Deum sicut in causam

efficientem

—et exemplarem;

nihilominus tamen quaelibet res participat suum esse creatum, quo formaliter est, et unusquisque intellectus participat lumen per quod recte de re judicat, quod quidem est exemplatum a lumine increato. Habet etiam intellectus suam operationem in se, ex qua completur ratio veritatis. Unde dico, quod sicut est unum esse divinum quo omnia sunt, sicut a principio effectivo exemplari, nihilominus tamen in rebus diversis est diversum esse, quo formaliter res est; ita etiam est una Veritas, scilicet divina, qua omnia vera sunt, sicut principio effectivo exemplari; nihilominus sunt plures veritates in rebus creatis, quibus dicuntur verae formaliter.

[…]

 

Ad ultimum dicendum, quod quamvis malum non sit bonum, nec sit a Deo, nihilominus intelligere malum bonum est, et a Deo est; et ideo veritas quae consistit in commensuratione intellectus ad privationem existentem extra animam, bona est, et a Deo; et ideo dicit Ambrosius, quod «omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est».

 

In I Sententiarum ds. 46, qu. 1, ar. 4 – Non c’è illuminazione dell’uomo che non venga da Dio

Questo secondo testo riprende ancora il problema del male sottolineando il fatto che, dal punto di vista logico, le due proposizioni «Dio vuole che ci sia il male» e «Dio vuole che non ci sia il male» non sono contraddittorie in quanto entrambe sono affermative («Dio vuole») rispetto all’azione (predicato) del loro soggetto («Dio») e quindi tra le due si danno delle possibilità intermedie. Rispetto alla sentenza che stiamo considerando si ha l’applicazione alla questione se e come Dio illumina ogni uomo: in questo si fa riferimento all’affermazione pseudo-ambrosiana che può essere interpretata sia in riferimento alla luce della grazia che alla luce della ragione naturale. Qui, però non si dice nulla in merito al tipo di causalità di questa illuminazione, che nel testo precedente viene, invece, caratterizzata come efficiente e come esemplare.

 

Quia nisi ab illo [i.e. a Spiritu Sancto] nullus [homo] illuminatur.

—Hoc intelligitur de lumine gratiae.

—Si autem de lumine naturalis intellectus intelligatur, sic absolute omnem hominem illuminat: quia, secundum Ambrosium, «omne verum,  a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est». Est enim aliquid quod in se bonum est.

 

La conoscenza umana della verità e l’azione della grazia

Un altro approccio al problema suscitato dalla formula pseudo-ambrosiana è quello relativo all’azione della grazia nella conoscenza umana: se ogni conoscenza della verità è originata dallo Spirito Santo, allora si deve dedurre che ogni conoscenza è operata dalla grazia e le capacità naturali dell’uomo sono incapaci di conoscere qualunque verità?

 

In II Sententiarum ds. 28, qu. 1, ar. 5 – L’uomo può conoscere delle verità senza la grazia

La risposta, per Tommaso, all’interrogativo se l’intelletto  umano possa conoscere delle verità anche senza l’intervento della grazia è


  

affermativa in merito alle conoscenze che possono essere dedotte a partire da principi a noi noti;


  

negativa rispetto alle conoscenze che non possono essere dedotte da principi a noi non noti, come quelli che richiedono la fede nella Rivelazione, o riguardano i futuri contingenti. Interessante la considerazione sull’intelletto agente che non è né unico (contro Averroè) né una sostanza identificabile con Dio, ma una potenza dell’anima umana che può operare anche senza la grazia, ma non senza l’azione causale di Dio che lo fa essere quello che è e fa esistere ogni suo atto.

La formula viene, qui, interpretata in senso naturale: lo Spirito Santo viene inteso come Dio che causa fisicamente l’atto conoscitivo dell’intelletto e quindi non come causa in senso soprannaturale.

 

Videtur quod sine gratia homo nihil verum scire possit.

 

Primo per id quod dicitur i cor. 12,3: «Nemo potest dicere, “Dominus Jesus”, nisi in Spiritu Sancto»; ubi dicit Ambrosius quod «omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est». Sed Spiritus Sanctus non habitat in nobis nisi per gratiam. Ergo nullum verum dici aut sciri, sine gratia potest.

 

Respondeo dicendum, quod verorum

—quaedam sunt naturali rationi proportionata,

—quaedam naturalem rationem excedunt.

Illa naturalem rationem excedunt quae non possunt concludi ex primis principiis per se notis. Cum enim prima principia sint sicut instrumenta intellectus agentis, ut Commentator dicit in 3 De anima, oportet ea esse proportionata virtuti ejus, sicut organa corporalia sunt proportionata virtuti motivae; unde quae ex primis principiis concludi non possunt, naturale lumen intellectus excedunt. Hujusmodi autem sunt ea quae fidei sunt, et futura contingentia, et hujusmodi: et ideo horum verorum cognitio sine lumine gratiae gratis datae haberi non potest, sicut lumen fidei, et etiam prophetiae, et aliquid hujusmodi.

Si autem loquamur de illis veris quae naturali rationi proportionata sunt, sciendum est quod circa hoc est duplex opinio.

= Quidam enim dicunt, ut supra dictum est, quod intellectus agens est unus omnium, intellectum agentem Deum esse dicentes: et cum intellectus agens se habeat hoc modo ad intelligibilia sicut lucidum ad visibilia, volunt quod sicut non potest videri aliquid visibile nisi per emissionem radii corporalis, ita non possit intelligi aliquid intelligibile sine nova emissione radii spiritualis, qui est gratia gratis data.

Sed haec positio conveniens non est, ut supra dictum est, dist. 17, qu. 2, art. 2.

[…]

= Aliorum vero opinio est, quod intellectus agens sit quaedam potentia animae rationalis; et hanc sustinendo, non potest rationabiliter poni, quod oporteat ad cognitionem veri, talis de quo loquimur, aliquod aliud lumen superinfundi: quia ad hoc verum intelligendum sufficit recipiens speciem intelligibilem, et faciens speciem esse intelligibilem in actu.

 

Summa Theologiae I-II, qu. 109, ar. 1 – Azioni straordinarie della grazia

In questo altro passo Tommaso aggiunge, poi, l’osservazione rilevante, secondo la quale, talvolta miracolosamente alcuni uomini sono stati istruiti per grazia a possedere conoscenze che altri possono raggiungere anche con la ragione naturale.

 

Et tamen quandoque Deus miraculose per suam gratiam aliquos instruit de his quae per naturalem rationem cognosci possunt, sicut et quandoque miraculose facit quaedam quae natura facere potest.

 

Ad primum ergo dicendum quod «omne verum, a quocumque dicatur, est a Spiritu Sancto» sicut ab infundente naturale lumen, et movente ad intelligendum et loquendum veritatem. Non autem sicut ab inhabitante per gratiam gratum facientem, vel sicut a largiente aliquod habituale donum naturae superadditum, sed hoc solum est in quibusdam veris cognoscendis et loquendis; et maxime in illis quae pertinent ad fidem, de quibus apostolus loquebatur.

 

Summa Theologiae II-II, qu. 172, ar. 6 – Anche i profeti dei demoni possono dire cose vere

Ad evidenziare la grande apertura alla verità  oggettiva di Tommaso si può considerare il testo seguente nel quale egli evidenzia che perfino i profeti dei demoni possono dire delle verità.

[13]

Così come in una cosa esistente non si può dare privazione totale dell’ente (nulla), anche a livello della conoscenza non si può dare una privazione assoluta di verità (falsità). Quindi può esserci qualche verità anche in ciò che dicono i profeti del demonio. In tal caso tali verità non provengono dai demoni, ma in quanto verità sono un bene che viene da Dio. Tali verità possono provenire da Dio


  

per ispirazione


  

o in forza della natura razionale che, comunque è creata da Dio e quindi dallo Spirito Santo.

 

Videtur quod prophetae daemonum nunquam vera praedicant.

 

Dicit enim Ambrosius quod «omne verum, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est». Sed prophetae daemonum non loquuntur a Spiritu Sancto, quia non est conventio Christi ad Belial, ut dicitur ii ad cor. 6. Ergo videtur quod tales nunquam vera praenuntiant.

[…] 

 

Respondeo dicendum quod sicut se habet bonum in rebus, ita verum in cognitione. Impossibile est autem inveniri aliquid in rebus quod totaliter bono privetur. Unde etiam impossibile est esse aliquam cognitionem quae totaliter sit falsa, absque admixtione alicuius veritatis. Unde et Beda dicit quod nulla falsa est doctrina quae non aliquando aliqua vera falsis intermisceat. Unde et ipsa doctrina daemonum, qua suos prophetas instruunt, aliqua vera continet, per quae receptibilis redditur, sic enim intellectus ad falsum deducitur per apparentiam veritatis, sicut voluntas ad malum per apparentiam bonitatis. Unde et Chrysostomus dicit, super Matth., concessum est diabolo interdum vera dicere, ut mendacium suum rara veritate commendet.

 

Ad primum ergo dicendum quod

prophetae daemonum non semper loquuntur ex daemonum revelatione, sed interdum ex inspiratione divina, sicut manifeste legitur de Balaam, cui dicitur Dominus esse locutus, Num. 22, licet esset propheta daemonum. Quia Deus utitur etiam malis ad utilitatem bonorum. Unde et per prophetas daemonum aliqua vera praenuntiat, tum ut credibilior fiat veritas, quae etiam ex adversariis testimonium habet; tum etiam quia, dum homines talibus credunt, per eorum dicta magis ad veritatem inducuntur. Unde etiam sibyllae multa vera praedixerunt de Christo.

Sed et

—quando prophetae daemonum a daemonibus instruuntur, aliqua vera praedicunt,

= quandoque quidem virtute propriae naturae, cuius auctor est Spiritus Sanctus;

= quandoque etiam revelatione bonorum spirituum, ut patet per Augustinum, xii super Gen. ad litt..

Et sic etiam illud verum quod daemones enuntiant, a Spiritu Sancto est.

 

Super Evangelium Johannis cp. 14, lc. 4 – Lo Spirito di Verità

Commentando il cap. 14 del Vangelo di Giovanni, a proposito dello Spirito Santo che è Spirito di Verità, Tommaso offre degli splendidi passaggi, che uniscono all’analisi scientificamente teologico-metafisica dei testi precedenti anche il carattere meditativo spirituale proprio di un commento alla Scrittura. In questo testo, poi, Tommaso va al di là dell’analisi metafisica sulla causalità efficiente ed esemplare che vede il Dio Uno nello Spirito Santo, per indicare come sia appropriato il riferimento alla persona dello Spirito Santo in quanto è l’Amore, ed è proprio dell’amore svelare le cose più intime e segrete alle persone più care.

 

Sed iste Spiritus ducit ad cognitionem veritatis, quia procedit a Veritate, quae dicit supra eodem: «Ego sum via, et veritas, et vita». Nam, sicut in nobis ex veritate concepta et considerata sequitur amor ipsius veritatis, ita in Deo concepta Veritate, quae est Filius, procedit Amor. Et sicut ab ipsa procedit, ita in eius cognitionem ducit;

—infra c. 14,14: «Ille me clarificabit, quia de meo accipiet etc.».

Et ideo dicit Ambrosius, quod «omne verum  a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est».

i cor. 12,3: «Nemo potest dicere, “Dominus Iesus”, nisi in Spiritu Sancto»;

—infra 15,26: «Cum venerit Paraclitus, quem ego mittam vobis Spiritum veritatis».

Manifestare autem veritatem convenit proprietati Spiritus Sancti. Est enim Amor qui facit secretorum revelationem;

—infra 15,15: «Vos autem dixi amicos, quia omnia quaecumque audivi a patre meo, nota feci vobis»:

iob c. 34,33: «Annuntiat de ea (scilicet veritate) amico suo».

Recipiunt autem Spiritum Sanctum credentes, et quantum ad hoc dicit «quem mundus non potest accipere», et primo ostendit qui sunt quibus non datur; secundo ostendit quibus datur, «ibi vos autem cognoscetis etc.».

[…]

 

Datur autem fidelibus: unde dicit «vos autem, qui movemini a Spiritu Sancto, cognoscetis eum».

 

Conclusione

Si può forse concludere questa breve esposizione di testi tomisti con un’osservazione che riguarda un tema che oggi, anche per ragioni storiche oltre che culturali e teologiche, è molto presente: quello delle religioni non cristiane. Non sembra irrilevante, in vista di una teologia delle religioni, la formula sulla quale abbiamo concentrato qui la nostra attenzione. C’è da chiedersi, infatti, se i «semina Verbi» dei quali si parla nei documenti inerenti a questa problematica, a partire dai testi conciliari, non solo siano da ritenersi, in qualche modo, ricompresi in questa formula, ma non siano da intendersi come una sorta di straordinario riverbero di un’ispirazione dello Spirito Santo che ha distribuito — come direbbe Tommaso «miraculose» — qualche frammento di quello che nella sua pienezza e completezza è il contenuto dell’unica Rivelazione.

[14]


* Università di Bari

[1]

Altra formula che ha avuto su di me un fascino straordinario, dal primo momento in cui l’ho conosciuta…

[2]

Come ha recentemente evidenziato la Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede Circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica: «È oggi verificabile un certo relativismo culturale che offre evidenti segni di sé nella teorizzazione e difesa del pluralismo etico che sancisce la decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge morale naturale» (n. 2).

[3]

Cfr. Enciclica Fides et ratio, n. 81 e Discorso di Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo scienziati, 25 Maggio 2000.

[4]

Cfr. ii cor. 3,17.

[5]

Anche se non è esplicitamente citata in questo scritto, ma l’argomento viene trattato soprattutto nel paragrafo intitoalto «Dove ci porta lo Spirito».

[6]

G. Biffi, Liber Pastoralis Boninensis. Omaggio al Card. Giovanni Colombo nel centenario della sua nascita, EDB, Bologna 2002.

[7]

pp. 673-698.

[8]

pp. 694-695.

[9]

A questo scopo mi sono servito dell’Index Thomisticus curato da P. Roberto Busa, s.j., strumento prezioso e ormai divenuto indispensabile per questo tipo di ricerche sui testi tomisti.

[10]

Oltre ai quattro principali menzionati dal Cardinale in «Il dialogo. Riflessione teologica», ve ne sono ben altri ventidue distribuiti in diciotto testi. I riferimenti sono i seguenti: I Sent. d. 19, q. 5, a. 2 ad 5; I Sent. d. 46, q. 1, a. 4-ex; II Sent. d. 28, q. 1, a. 5, arg. 1; III Sent. d. 36, q. 1, a. 1, arg. 6; IV Sent. d. 49, q. 5, a. 3b, arg. 10; I-II q. 109, a. 1, arg. 1 e ad 1; II-II q. 172, a. 6; De Ver. q. 1, a. 8, sc. 1; De Pot. q. 1, a. 3a, arg. 6; Cat. Aur. In Matth. c. 7, l. 9; Sup. Ev. Jo. c. 1, l. 3; Sup. Ev. Jo. c. 7, l. 2; Sup. Ev. Jo. c. 8, l. 6; Sup. Ev. Jo. c. 14, l. 4; Sup. I Cor. c. 12, l. 1; Rep. In. Leon. n. 3, c. 12, v. 3 e v. 7; Sup. ad Thim. c. 3, l. 3.

[11]

Che Tommaso ritiene essere l’autore della sentenza in questione.

;

[12]

Nei testi originali ho introdotto una paragrafazione e dei corsivi miei che evidenziano alcune parole per facilitare la lettura.

[13]

Vale la pena ricordare come altrove (III Sent. d. 25, q. 2, a. 2b ad 3) Tommaso sostiene che non solo i profeti dei demoni, ma anche a persone comuni, senza l’interferenza dei demoni, lo Spirito Santo può avere ispirato, la conoscenza di alcune verità soprannaturali che, in via ordinaria, sono state comunicate agli uomini solo attraverso la Rivelazione.

[14]

Ma, sia ben inteso, non si tratta che di qualche frammento che, pur significativo e prezioso, nulla aggiunge alla pienezza della verità che è già interamente presente nella fede della Chiesa e non costituisce, certo, un invito a quel sincretismo o a quel relativismo religioso del quale oggi si respira non di rado l’atmosfera, quanto, piuttosto a un’attenzione agli effetti e agli accenti positivi e arricchenti che le stesse verità possono avere prodotto presso altre culture, nelle quali sono state recepite.