La fede e il risanamento della ragione come ragione

La fede e il risanamento della ragione come ragione

 

di Alberto Strumia*

 

 1. Valutazioni del Magistero recente sul rapporto fede/ragione e teologia/filosofia - 2. La fede e il risanamento della ragione - 3. Teologia e filosofia-scienza - 4. In conclusione

 

Con questo contributo intenderei svolgere alcune riflessioni in merito al problema della scientificità della teologia, così come si può porre ai nostri giorni, muovendo più dall’esigenza di identificare alcune questioni che mi paiono imprescindibili, che da quella di presentare un quadro della produzione teologica odierna. Il taglio di queste considerazioni sarà, perciò, principalmente epistemologico: esse si poggeranno, anzitutto, su alcuni rilievi tratti dal Magistero recente, in particolar modo dall’enciclica Fides et ratio (§1), prendendo in esame alcuni punti nodali che emergono al livello del rapporto tra fede e ragione (§2), per passare poi a considerare il rapporto tra teologia e filosofia (§3), indicando alcune vie che sembrano oggi meritevoli di essere almeno tentate e, possibilmente, sistematicamente percorse e verificate, in vista di un “risanamento” della ragione, di una restituzione della nozione oggettiva di verità e di una corretta metafisica alla filosofia, e quindi di una filosofia metafisica alla teologia.

 

1. Valutazioni del Magistero recente sul rapporto fede/ragione e teologia/filosofia

Il punto di partenza ci è offerto da alcune valutazioni di fondo sullo stato della teologia,[1] della filosofia e del loro rapporto, che il Magistero di Giovanni Paolo II ci ha offerto, soprattutto nell’enciclica Fides et ratio, dedicata espressamente a questo tema.

In questa enciclica il Pontefice ha proposto autorevolmente un quadro essenziale e preciso, sia dal punto di vista storico che sistematico, della relazione tra fede e ragione e di come questo rapporto sia determinante in ordine al rapporto tra teologia e filosofia. In particolare, i primi tre capitoli dell’enciclica sono dedicati agli aspetti biblici, antropologici ed esistenziali, mentre il cap. IV offre una chiave di lettura magisteriale della storia del rapporto tra fede e ragione. Questo capitolo ha anche una funzione di raccordo con i successivi, in quanto opera il passaggio dal tema del rapporto fede/ragione a quello della relazione teologia/filosofia, che verrà sviluppato in maggior dettaglio nei capitoli V e VI, dal punto di vista di ciò che sta a cuore al Magistero della Chiesa. Nel VII capitolo vengono focalizzati i problemi attuali che i ricercatori, sia teologi che filosofi (e non tanto il Magistero che non ha direttamente il compito della ricerca) sono invitati ad affrontare come determinanti, come, ad esempio, il problema della inculturazione concepito e trattato come non contrapposto a quello della universalità della verità (nn. 92-95); quello del linguaggio e della concettualizzazione del dogma e dei fondamenti comuni che consentono il dialogo tra le scienze (n. 96).

E viene indicata anche una linea di metodo percorribile.

«Se l’intellectus fidei vuole integrare tutta la ricchezza della tradizione teologica, deve ricorrere alla filosofia dell’essere. Questa dovrà essere in grado di riproporre il problema dell’essere secondo le esigenze e gli apporti di tutta la tradizione filosofica, anche quella più recente, evitando di cadere in sterili ripetizioni di schemi antiquati. […] Nella teologia, che riceve i suoi principi dalla Rivelazione quale nuova fonte di conoscenza, questa prospettiva trova conferma secondo l’intimo rapporto tra fede e razionalità metafisica».[2]

L’esigenza che viene espressa dal Magistero è, sostanzialmente, quella di una nuova fondazione filosofica di una metafisica oggettiva e di una epistemologia realista. Questo lavoro è compito della ricerca filosofica e scientifica, più che del Magistero. Come viene precisato nella stessa enciclica:

«non è compito né competenza del Magistero intervenire per colmare le lacune di un discorso filosofico carente»,

tuttavia il Magistero, oltre a

«indicare, anzitutto, quali presupposti e conclusioni filosofiche sarebbero incompatibili con la verità rivelata»,

ha anche la funzione propositiva di indicare

«le esigenze che si impongono alla filosofia dal punto di vista della fede»,[3]

e di una sana ragione.

 

1.1. La “debolezza” della ragione e della filosofia

Per quanto riguarda il nostro tema, si deve osservare subito che le due relazioni — fede/ragione teologia/filosofia — non sono, evidentemente, da identificarsi, in quanto “teologia” non è sinonimo di “fede”, né “filosofia” lo è di “ragione”. Teologia e filosofia sono piuttosto due aree disciplinari (due campi del sapere il cui ideale è quello di giungere a strutturarsi come scienze) che costituiscono i “prodotti”, i frutti del lavoro della ragione che si applica con sistematicità — ordinatrice ed esplicatrice — ai contenuti ricevuti dall’esperienza (elaborando la filosofia e le scienze), e della fede, attraverso la Rivelazione, la Tradizione e il Magistero (elaborando la teologia con l’ausilio della filosofia e di altre scienze).

Ai nostri giorni assistiamo ad un forte indebolimento del carattere scientifico della teologia che, dal punto di vista epistemologico, risulta essere in larga misura collegato ad un corrispondente indebolimento della filosofia, collegato,[4] a sua volta ad un indebolimento che la ragione stessa manifesta nel suo esercizio e nella valutazione che essa dà delle proprie capacità conoscitive.[5] Sia

«la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli l’una di fronte all’altra. La ragione, privata dell’apporto della Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l’esperienza, correndo il rischio di non essere più una proposta universale».[6]

Il quadro filosofico odierno e, più in generale quello culturale, fino al livello capillare della mentalità della gente comune (non addetta ai lavori specialistici), è caratterizzato da un relativismo e un soggettivismo secondo cui non si dà una verità oggettiva, ma solo opinioni soggettive. Come ha rilevato il Card. Ratzinger:

«Questo relativismo, che oggi, quale sentimento base della persona “illuminata”, si spinge ampiamente fin dentro la teologia, è il problema più grande della nostra epoca».[7]

Dal punto di vista filosofico (epistemologico) nascono, allora, le domande pressanti:

«se e come la verità possa tornare ad essere “scientifica”»,[8]

se e come sia possibile

«recuperare ed evidenziare al meglio la dimensione metafisica della verità».[9]

È dalla risposta a queste domande che viene a dipendere la possibilità stessa di una scienza le cui conclusioni non siano puramente ipotetiche, le cui deduzioni non siano esclusivamente formali, ma siano in grado di offrire dei contenuti veri, anche se parziali e limitati, e tali da essere riconoscibili come veri da parte del soggetto che giunge a conoscerli.[10] E quindi la possibilità di una teologia non meramente narrativa, ma sistematica.

Qual è, allora, la strada per risanare la ragione, in vista di un corretto rapporto tra fede e ragione? E qual è la strada per restituire dignità scientifica alla verità, alla filosofia e quindi alla teologia? Le due domande sono certamente tra loro collegate e così lo saranno le riposte.

 

1.2. Il problema del “risanamento” della ragione e della filosofia

1.2.1. I versanti interno ed esterno alla ragione e alla filosofia

Sembra di poter dire che il problema presenta due versanti:

          l’uno è interno alla ragione stessa, e rispettivamente alla filosofia e consiste nella ricerca dei fondamenti irrinunciabili della ragione e del pensiero filosofico-scientifico, fondamenti che è indispensabile presupporre per non cadere in contraddizione e non arrestarsi e che sono, sostanzialmente, quelli della epistemologia e della metafisica classica;

          l’altro è esterno e consiste nell’individuare “chi” (il soggetto che) sia in grado di indicare, oggi, gli obiettivi da perseguire da parte della ragione, e da dimostrare da parte della filosofia e delle scienze, e la via che orienta verso di essi, permettendo di escludere in partenza altre vie, sicuramente, o almeno, assai probabilmente cieche e fuorvianti.[11] Se la ragione filosofica può ritenere di “cavarsela da sola” nel proprio ambito, in nome di una legittima autonomia, essa può, comunque, trarre non pochi vantaggi dai suggerimenti di una sapienza ad essa esterna, purché questa sappia parlarle facendosi comprendere e suggerendole obiettivi e metodi che ne rispettano le regole, facendola lavorare come “ragione”.

Ciascuno di questi due punti di vista (interno ed esterno) va esaminato sia relazione alla ragione come tale, sia in relazione alle discipline che da essa scaturiscono (la filosofia e le scienze).

 

A) Il versante interno

          Da un punto di vista interno alla ragione, è l’uomo ad interrogarsi, a partire dalla sua esperienza e dalla riflessione su di essa. Egli può arrivare, per la via del senso comune e della riflessione, ai fondamenti della ragione (speculativa e pratica) sia per una via negativa, che per una via positiva: se mancano alcuni principi che fondano il modo di pensare e di vivere l’esistenza diviene incomprensibile e la vita, individuale o sociale,invivibile (via negativa).[12] Viceversa, se si ammettono certi presupposti la ragione funziona correttamente la vita acquista senso e utilità, i rapporti interpersonali si caricano di positiva reciprocità (via positiva);[13] questa ricerca è condotta alla luce del senso comune e non ha ancora però quella sistematicità che è propria di un approccio filosofico-scientifico.

          Da un punto di vista interno alla filosofia, si tratta di vedere se i fondamenti della ragione, che sono anche i fondamenti della logica e delle scienze, devono essere semplicemente presupposti o se si può, in qualche modo, (di)mostrare la loro irrinunciabilità. Inoltre occorre esaminare se si deve semplicemente presupporre, o si può dimostrare, che i fondamenti delle scienze esigono che vi siano dei corrispondenti fondamenti dell’essere: se non c’è una base ontologica è il pensiero stesso a risultare inconsistente, finendo nel relativismo, nel soggettivismo e infine nel nichilismo.

Questi risultati che la filosofia greca e medioevale aveva acquisito e la teologia cristiana utilizzato, ai nostri giorni sembrano del tutto irraggiungibili e addirittura inammissibili filosoficamente. Diversa sembra essere la situazione nell’ambito della ricerca dei fondamenti delle scienze, dove alcuni risultati e filoni di ricerca, sono maggiormente aperti e orientati all’indagine ontologica.[14]

 

B) Il versante esterno

Da un punto di vista esterno, ci si può e deve chiedere se “qualcuno” possa essere capace di indicare

          alla ragione i contenuti ai quali non deve rinunciare per essere in grado di esercitare a pieno, e con equilibrio, tutte le sue potenzialità;

          alla filosofia-scienza quei principi che le sono indispensabili per elaborarsi e progredire, e quelle verità essenziali che deve potersi dedicare a dimostrare, o a presupporre, andando contro le quali essa prima o poi giungerebbe ad autodistruggersi, divenendo una collezione di affermazioni la cui verità rimane “indecidibile”.

Questa funzione esterna potrà essere esercitata, nei confronti della ragione, da parte della fede, e nei confronti della filosofia-scienza, in certa misura e in un senso che dovremo precisare, da parte della teologia. Dovremo ora cercare di indagare in quale modo ciò possa/debba avvenire.

Questa osservazione di carattere epistemologico ha anche un suo corrispettivo sul piano storico e istituzionale: qual è l’istituzione che può parlare autorevolmente alla ragione, alla filosofia e alla teologia, a nome della fede? È, evidentemente, la Chiesa con il suo Magistero. Il compito del Magistero

«non deve essere inteso primariamente in forma negativa, come se intenzione del Magistero fosse di eliminare o ridurre ogni possibile mediazione. Al contrario, i suoi interventi sono tesi in primo luogo a provocare, promuovere e incoraggiare il pensiero filosofico».[15]

Non solo:

«Il Magistero, comunque, non si è limitato solo a rilevare gli errori e le deviazioni delle dottrine filosofiche. Con altrettanta attenzione ha voluto ribadire i principi fondamentali per un genuino rinnovamento del pensiero filosofico, indicando anche concreti percorsi da seguire».[16]

Oggi si direbbe che il Magistero ordinario si trovi a dover assumere, talvolta, almeno in via provvisoria, quasi una funzione di “supplenza” nei confronti dell’indagine filosofica e teologica, sia riproponendo, a fianco della dottrina, anche alcuni contenuti della migliore filosofia che nel corso dei secoli è stata elaborata in ambito cristiano, sia suggerendo delle piste di ricerca che esso ritiene varrebbe la pena, e talvolta sarebbe necessario, cercare di percorrere e non senza urgenza, sia obiettivi da raggiungere o da riconquistare. Esso ha frequentemente raccomandato la philosophia perennis, ritenuta un patrimonio universale comune a tutte le culture e a tutte le sane filosofie,[17] in quanto fondata sul sensus communis, — una sorta di «grammatica»[18] della ragione — più che una filosofia particolare da contrapporre ad altre filosofie.

In ambito teologico, un esempio significativo può essere rappresentato dalla proposta del modello “inclusivista”, introdotto a proposito del problema del rapporto con la Chiesa cattolica degli appartenenti alle confessioni cristiane non cattoliche (problema ecumenico) e degli appartenenti alle religioni non cristiane (problema della teologia delle religioni).[19]

È bene tenere presente che questo duplice modo di procedere, che considera un procedimento interno e uno esterno ad un certo ambito cognitivo (fede/ragione) e disciplinare (teologia/filosofia-scienza), non è esclusivo del rapporto fede/ragione, teologia/filosofia, quasi fosse una sorta di scappatoia ad hoc per inventare una soluzione artificiosa ad un problema impossibile, ma è un metodo del tutto normale anche nell’ambito scientifico. Nell’antichità Archimede testimonia come, attraverso esperimenti di meccanica (cioè “esterni” all’ambito della matematica che non è sperimentale ma logico-formale) fosse riuscito ad intuire alcune proprietà geometriche dei corpi, che poi avrebbe dimostrato con il metodo deduttivo proprio della geometria (cioè con un procedimento “interno” a quella disciplina).[20] Molto più tardi Newton giunse ad inventare il calcolo integrale (“interno” alla matematica) in quanto gli era “suggerito” come necessario per risolvere le equazioni del moto dei pianeti (problema di astronomia, “esterno” alla matematica).[21] La stessa teoria degli insiemi di Cantor rappresenta una sorta di importazione, entro la matematica, di una nozione — quella di “insieme” — che ha un carattere ontologico ben più ampio di quella di numero.[22] Oggi l’ontologia formale sembra poter preparare un passo ulteriore, per dare una veste scientifica alla nozione filosofica di ente, ampliando ulteriormente l’orizzonte scientifico.[23]

 

2. La fede e il risanamento della ragione

Dopo questa ampia introduzione che ci ha presentato lo status quaestionisentriamo, ora, nel merito del primo aspetto che ci siamo proposti di trattare: quello del rapporto fede/ragione.

Il quadro d’insieme dell’insegnamento del Magistero su questo argomento è offerto nell’enciclica Fides et ratio (cap. IV) e non starò qui a riproporlo. Piuttosto interessa, ora, affrontare un aspetto, in parte “nuovo” del problema: se la ragione oggi è in crisi, può essere la fede a darle un orientamento che la aiuti a riprendere un modo corretto di funzionare? Possiamo trovare una risposta molto netta a questa domanda nel libro Fede, Verità, tolleranza, del Card. Josef Ratzinger, che così si esprime:

«Una delle funzioni della fede, e non tra le più irrilevanti, è quella di offrire un risanamento alla ragione come ragione, di non usarle violenza, di non rimanerle estranea, ma di ricondurla appunto nuovamente a se stessa».[24]

Si tratterebbe di una sorta di una “redenzione” della ragione, che viene “salvata” dalla fede, che le suggerisce alcuni punti di riferimento da non perdere, alcune questioni che la riguardano sulle quali concentrarsi. Si tratta di unrevelatum per accidens, che smarrito dalla ragione e una volta accolto, come suggerito dall’esterno ad opera della fede, viene riconosciuto dalla ragione come rientrante nel suo orizzonte e viene ritrovato da essa con le sue proprie regole e metodologie di lavoro. Questo percorso riconosce ad alcuni contenuti della fede almeno quel tanto che basta per far lavorare la ragione (credo ut intelligam) su certi oggetti piuttosto che altri, seguendo certi metodi piuttosto che altri: l’avvio della ragione sarebbe mosso da un credito dato alla Rivelazione, alla Tradizione e al Magistero, ma poi essa si accorgerebbe ben presto di lavorare autonomamente e secondo la logica che le è propria e su certi contenuti che le sono propri e che anche un non credente non prevenuto potrebbe condividere.[25] È interessante notare come non sia necessaria neppure una fede teologale, un’adesione totale a Cristo e alla Chiesa, ma anche solo un credito ad alcuni contenuti, evitando un pregiudizio che blocca il pensiero, rendendolo per principio anti-metafisico per garantirsi di essere anti-cristiano.

La crisi del razionalismo, inteso come potere conoscitivo di una ragione autosufficiente e chiusa al senso del mistero, ha condotto, ai nostri giorni, a rassegnarsi ad un relativismo totale. In taluni, però, il pregiudizio anti-cristiano e anti-metafisico sembra incrinarsi, in quanto non pare possano esservi alternative al pensiero scaturito dalla tradizione greca e cristiano-medioevale per salvare la ragione e insieme ad essa la vivibilità della società, la libertà e la dignità della persona e la governabilità delle nazioni. Per cui incomincia a verificarsi la situazione in cui alcuni non credenti riconoscono che quanto la Chiesa insegna, almeno per quanto riguarda la ragione, la legge e il diritto naturale, non va rifiutato a priori, ma si dimostra, alla prova dei fatti, come valido, e meritevole di serena e ragionata considerazione.

Ora, si tratta, ora, di passare dal piano della semplice affermazione dei principi a quello di una vera e propria elaborazione filosofica, capace di dare una giustificazione di quanto si afferma, che sia recepibile anche a partire dal quadro delle odierne conoscenze, che vanno corrette, ampliate e perfezionate fino ad essere in grado di formulare e accogliere le verità tradizionali. Queste ultime, a loro volta, devono trovare una loro codificazione “scientifica” intelligibile oggi.

L’esito di questo lavoro di “bonifica” dell’uso della ragione non potrà non essere benefico sia per la cultura che per l’equilibrio umano e la libertà dei singoli e delle società: agli aspetti speculativi, infatti, si uniscono quelli pratici della morale, del diritto, della libertà e della democrazia. Tale opera risanatrice non potrà non avere anche un esito evangelizzante, in quanto, difficilmente, una ragione ben orientata potrebbe resistere all’attrattiva di quel pieno compimento che può derivarle solo dalla fede.

«La ragione, in questa prospettiva, viene valorizzata, ma non sopravvalutata. Quanto essa raggiunge, infatti, può essere vero, ma acquista pieno significato solamente se il suo contenuto viene posto in un orizzonte più ampio, quello della fede: […] la fede libera la ragione in quanto le permette di raggiungere coerentemente il suo oggetto di conoscenza e di collocarlo in quell’ordine supremo in cui tutto acquista senso».[26]

 

2.1. Alcuni orientamenti che pervengono alla ragione da parte della fede

Un primo orientamento viene alla ragione dalla Rivelazione il cui contenuto è fissato nella Sacra Scrittura. Questa offre alla ragione dei contenuti “filosofici” che essa è chiamata a considerare come propri, adatti a farla funzionare con equilibrio, sui quali esercitarsi per non essere sviata, come oggetto di approfondimento.

«La convinzione fondamentale di questa “filosofia” racchiusa nella Bibbia è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il loro compimento, che si attua in Gesù Cristo. Il mistero dell’Incarnazione resterà sempre il centro a cui riferirsi per poter comprendere l’enigma dell’esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso. In questo mistero le sfide per la filosofia si fanno estreme, perché la ragione è chiamata a far sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di rinchiudersi. Solo qui, però, il senso dell’esistenza raggiunge il suo culmine. Si rende intelligibile, infatti, l’intima essenza di Dio e dell’uomo: nel mistero del Verbo incarnato, natura divina e natura umana, con la rispettiva autonomia, vengono salvaguardate e insieme si manifesta il vincolo unico che le pone in reciproco rapporto senza confusione».[27]

Un secondo orientamento viene dall’insistenza con la quale il Magistero mette in guardia dal cedere alla tentazione di quella

«radicale sfiducia nella ragione che rivelano i più recenti sviluppi di molti studi filosofici. Da più parti si è sentito parlare, a questo riguardo, di “fine della metafisica”: si vuole che la filosofia si accontenti di compiti più modesti, quali la sola interpretazione del fattuale o la sola indagine su campi determinati del sapere umano o sulle sue strutture».[28]

Un terzo orientamento mette in guardia contro la tentazione opposta di cedere al razionalismo di una filosofia-scienza che esclude per principio ogni apertura al mistero.[29]

Scendendo nei dettagli, poi numerosi altri orientamenti riguardano la concezione dell’uomo, la legge naturale, e soprattutto la concezione di Dio e del rapporto dell’uomo con Dio, ecc. Non è il caso di elencarli tutti qui, anche perché sono ben noti e sono continuamente richiamati dal Magistero ordinario. Diversi di questi orientamenti hanno un carattere di umana saggezza e, come si è detto, non richiedono espressamente la fede, anche se trovano solo in essa il loro compimento e una piena chiarificazione.

 

3. Teologia e filosofia-scienza

Ciò che la ragione può intuire, con il semplice esercizio quotidiano del pensare, anche se orientato dai contenuti della Rivelazione, non è però sufficiente a rendere conto delle verità che afferma, ma occorrono argomenti e dimostrazioni: essa deve applicarsi ad elaborare una riflessione sistematica, una vera e propria filosofia-scienza. Ci troviamo a passare, così, dalla considerazione del rapporto fede/ragione a quello della relazioneteologia/filosofia-scienza.

Anche a questo livello troviamo quella dualità di orizzonte e di percorso interno ed esterno di cui si è detto in precedenza. Prenderemo prima in considerazione quest’ultimo.

 

3.1. Il percorso esterno: dalla teologia alla filosofia-scienza e ritorno

È giunto, ora, il momento di vedere in che senso si possa ritenere che la teologia possa intervenire in vista di un risanamento della filosofia e quale sia il tipo di teologia che possa rendersi utile per questo scopo. In effetti la filosofia dovrebbe precedere la teologia, in quanto è quest’ultima a servirsi della prima per dedurre dai contenuti della Rivelazione, congiunti alle premesse di ragione, le sue conclusioni teologiche (sillogismo teologico).

Tuttavia, in un tempo in cui la filosofia attraversa una crisi epistemologica, la teologia può aiutarla a ritrovare la strada per recuperare i fondamenti perduti. Ma quale teologia può farsi carico di offrire questo aiuto?

In un precedente articolo[30] ho indicato tre strade che la teologia sembra trovarsi a poter percorrere: quella narrativa, che, pur essendo forse quella oggi più percorribile, non pare poter offrire un grado di sistematicità tale da dare suggerimenti ad una filosofia-scienza alla ricerca di solidi fondamenti; quella di una teologia che potremmo chiamare autonoma, in quanto cerca di costruire da se stessa, in actu exercito, la filosofia che le serve per elaborarsi sistematicamente; e, infine, quella della teologia tradizionale, che fa riferimento alle basi filosofiche della filosofia agostiniana e tomista, acquisendole come un punto di partenza che non tocca, di per sé, al teologo fondare.

 Si è anche rilevato come sia molto difficoltosa, se non quasi del tutto impraticabile, la seconda via, almeno se la si intende come un ripartire da zero; tuttavia, essa risulta in certo modo percorribile, se si incontra con la terza strada e da essa trarre le indicazioni per la costruzione della “sua” filosofia. In tal caso il teologo assume, insieme alla propria funzione teologica, anche una funzione filosofica di supplenza, nei confronti del filosofo che non sa o non intende fornirgli gli strumenti di lavoro.

È la terza via, allora, a poter dare dei suggerimenti alla seconda, nel senso che la teologia che si colloca in questo atteggiamento, “crede” nella verità dell’impianto filosofico sul quale si appoggia e, implicitamente invita i ricercatori degli ambiti filosofico-scientifici ad indagare, con i loro metodi, per dare ad essa una sistemazione scientificamente valida al giorno d’oggi. La teologia tradizionale, allora, può venire in soccorso della filosofia-scienzanel senso di offrire una elaborazione filosofica, sorta in ambito greco-giudeo-cristiano, che ha una portata tale da potersi validamente confrontare con le domande delle scienze odierne, suggerendo loro degli obiettivi da perseguire, dei risultati da dimostrare, delle leggi da formulare, un po’ come la meccanica di Archimede fu in grado di suggerire dei risultati di geometria, che egli riuscì, poi, a ritrovare dall’interno della geometria stessa, con i metodi formali propri di quella disciplina.

Sembra di poter rinvenire un suggerimento simile a questo in alcune pagine di A.D. Setrillanges, dove egli tratta della questione di quella che al suo tempo veniva chiamata la “filosofia cristiana”.[31]

«Si può chiamare filosofia cristiana una conoscenza, che deliberatamente, consciamente, pur non valendosi che di principi razionali e di metodi filosofici, si abbandona alle ispirazioni che abbiamo riconosciuto emanare dai dogmi, lavora in contatto con essi, li considera come ipotesi feconde, si serve delle analogie che essi suggeriscono, e più di tutto, sapendoli veri, immerge la mente del pensatore nel bagno di mistero, da cui essi emergono, questo oceano battesimale, in cui la Rivelazione l’ha invitato a rinnovellarsi sino a rinascere, e attende da questa vivificazione luci sempre rinnovate, che concernono la natura stessa e il gioco normale della mente e del cuore umano».[32]

Questo modo di procedere, indubbiamente affascinante, però non fu trovato del tutto convincente, negli anni in cui fu proposto, neppure in ambito cattolico, oltre che per il fatto di non demarcare sempre con sufficiente chiarezza il confine tra filosofia e teologia, anche e soprattutto perché non sembrò sufficientemente fondativo del realismo gnoseologico e ontologico, alla luce del criticismo kantiano e post-kantiano, dell’empirismo di Hume, del soggettivismo e dell’univocismo che ne sono seguiti.

Tuttavia, oggi forse, un tale modo di considerare la storia del pensiero filosofico, pur con tutte le necessarie precisazioni, potrebbe ritrovare un nuovo interesse da parte dei teologi (che probabilmente nel tempo in cui fu proposto non poteva suscitare), anche grazie alla sua forte caratterizzazione cristocentrica, proiettata sul piano della storia della cultura.

«Senza il cristianesimo nessuna filosofia accettabile esisterebbe. Tutte quelle apparse dopo il Vangelo gli debbono il meglio di sé, e quelle che precedettero il Vangelo, per quanto utili abbiano potuto essere,incorporandovisi, non avrebbero servito a nulla da sole per la nostra civiltà».[33]

Di certo il fascino della “sapienza cristiana”, quando si percorre la strada del sapere a partire dall’alto, in senso discendente, anziché dal basso in senso ascendente, e si segue la prospettiva della partecipazione e dell’analogia, partendo

      dalla semplicità di Dio che si rifrange nella molteplicità dell’essere e del nostro conoscere, secondo la logica dei trascendentali, offrendosi a noi come realtà, essere, unità, verità e bene;

      dal mistero trinitario (teologia trinitaria) per comprendere l’essere (ontologia), il conoscere (gnoseologia) e il pensiero (logica);

      dal mistero del Verbo incarnato (cristologia) per cogliere la struttura profonda dell’uomo (antropologia) che deve essere salvato (soteriologia)

      dalla creazione e dal governo delle cose (Provvidenza) per spiegare la natura e il mondo (cosmologia)

non può non illuminare il teologo che si scopre anche, insieme, filosofo per poter essere teologo. Si tratta di un’opera di “redenzione” della ragione e della filosofia che si trova ad essere salvata in quanto già inclusa nella prospettiva teologica. Una visione sapienziale che sa farsi guida alla ricerca anche sul piano epistemologico, suggerendo certamente degli obiettivi e talvolta anche dei metodi.

Si deve ammettere, tuttavia, che un filosofo, che parte con l’habitus mentale del teologo, è tendenzialmente un teologo per se e un filosofo per accidens e la sua filosofia può apparire non sempre autonoma e del tutto convincente, soprattutto a chi non è credente. Sembra che ad altri rimanga, comunque, il compito di dare una fondazione strettamente scientifica ai suoi risultati filosofici, ma questo non esclude che filosofi-scienziati e teologi possano lavorare parallelamente e confrontarsi, purché dispongano di un linguaggio metascientifico (metafisico) comune.

Una sintesi teologica di grande rilievo, che ci sembra possa ricondursi in questa prospettiva della seconda via, giunta all’incrocio con dalla terza, è reperibile, ai nostri giorni, nel cospicuo lavoro di un teologo come Hans Ursvon Balthasar. Così egli stesso descrive l’intendimento della sua opera.

«La risposta cristiana […] è contenuta nei due dogmi fondamentali della Trinità e dell’Incarnazione. Nel dogma trinitario Dio è uno, buono, vero bello perchè è essenzialmente Amore, e l’Amore suppone l’Uno, l’Altro e la sua Unità. E se in Dio va posto l’Altro, il Verbo, il Figlio, allora l’alterità della creazione non sarà più una caduta, una perdita, ma un’immagine di Dio, pur non essendo Dio stesso».

«In vista di ciò ho tentato di costruire una filosofia e una teologia sulla base di una analogia non già di un Essere astratto, ma dell’Essere quale lo si incontra concretamente nei suoi attributi (non categoriali, ma trascendentali). E posto che i trascendentali attraversano tutto l’Essere devono essere interni l’uno all’altro. Ciò che è veramente vero è anche veramente buono, bello e uno. Appare un essere, c’è un’epifania: è bello. Con l’apparire si dona: è buono. Donandosi si dice, si svela: è vero. Così si può cominciare con un’estetica teologica: Dio appare. Appare ad Abramo, a Mosè, a Isaia, e finalmente in Gesù Cristo.

Domanda centrale: come distinguere la sua apparizione, la sua epifania tra gli altri mille fenomeni di questo mondo? Come distinguere il vero e unico Dio vivente di Israele da tutti gli idoli? Come percepire l’incomparabile gloria di Dio nella vita, nella croce, nella risurrezione di Cristo, gloria ben diversa da tutte quelle di questo mondo?

E si può continuare con una drammatica: come si confrontano la libertà assoluta di Dio in Gesù Cristo e la libertà relativa, e nondimeno reale, dell’uomo? Vi sarà una lotta mortale fra le due nella quale ognuna difenderà contro l’altra ciò che ha scelto e concepito come il Bene. Quale sarà lo sviluppo della battaglia e la vittoria finale?

Per poi finire con una logica (una teo-logica). Come fa Dio a farsi comprendere dall’uomo? Come può una parola infinita tradursi in una parola finita senza perdere il suo senso? È il problema delle due nature di Cristo. E come fa lo spirito limitato dell’uomo a cogliere il senso illimitato del Verbo di Dio? Questo sarà il problema dello Spirito Santo.

Ecco i contorni della mia trilogia: ho menzionato solo le questioni poste dal metodo, senza accennare alle risposte, perchè ciò oltrpasserebbe i limiti posti da questa conferenza introduttiva».[34]

Si tratta di un grande percorso dall’alto: dalla teologia alla filosofia che essa include. Alla filosofia-scienza, rimane in ogni caso il compito di ritrovare, dall’interno e le proprie regole, i contenuti veri che la teologia include e accidentalmente le offre. Non solo, ma la filosofia-scienza potrà/dovrà anche entrare in tutti i dettagli che al teologo possono non interessare direttamente, in ordine alla sua disciplina. Si entra, così, nell’orizzonte del percorsointerno alla filsofia-scienza.

 

3.2. Il percorso interno: dalla scienza alla filosofia-metafisica alla teologia

Il percorso interno alla filosofia-scienza è quello che vede la filosofia e le scienze muoversi alla ricerca dei propri fondamenti per un’esigenza che scaturisce non solo sulla base di un richiamo o di una sollecitazione proveniente da altre discipline, quanto

          da un’esigenza fondazionale, dettata dalla propria epistemologia, e

          dal tentativo di ampliare il proprio oggetto formale.

Le discipline esterne hanno, tuttavia, il compito importante di fornire degli orientamenti, degli obiettivi irrinunciabili, a quella ricerca che parte dall’interno. Questo sembra essere tanto più possibile per lo scienziato che (credente o meno) possiede una buona conoscenza dell’eredità della metafisica greca e della teologia cristiano-medievale, e non la disconosce pregiudizialmente. Se credente egli potrà essere anche consapevole del valore in ordine alla teologia di una lavoro di ricostruzione in chiave odierna di un tale patrimonio.

Tale eredità teologico-filosofica orienta verso una teoria dei fondamenti caratterizzata da una metafisica dell’ente e della partecipazione dell’atto di essere, da una logica che include una teoria dell’analogia, da un’epistemologia improntata al realismo della conoscenza, e permette di dimostrare l’esistenza di un fondamento causale primo, universale, reale e trascendente («quod omens dicunt Deum»[35]). È in questa direzione che la ricerca filosofico-scientfica viene sollecitata ad dirigersi.

Sia il problema dei fondamenti che quello dell’ampliamento delle discipline filosofico-scientifiche richiedono, quasi sempre, anche una revisione del metodo che non necessariamente i loro attori sono pronti a compiere, e questo costituisce il principale elemento di resistenza che rallenta il progredire della ricerca in tale direzione. E le resistenze possono essere di carattere psicologico (habitus mentali ormai acquisiti e difficilmente modificabili) e ideologico (pregiudizi e accanimenti che ben poco hanno a che fare con l’obiettività scientifica).

Mi limiterò ora ad esemplificare come alcuni interrogativi che nascono dall’interno delle discipline scientifiche e filosofiche sembrano aprirsi verso un approccio che va oltre il relativismo, verso una restituzione della metafisica alla filosofia.

 

3.2.1. I problema dell’ampliamento delle scienze e il problema dei fondamenti

Nell’ambito delle scienze vi sono diversi segnali interessanti che possono portare ad un incontro con la filosofia della natura, la logica e la metafisica aristotelico-tomista.

Le scienze si trovano ad affrontare due ordini di problemi: l’uno è quello dell’ampliamento del loro oggetto formale, conseguente all’esigenza di ampliare l’estensione e la comprensione del loro oggetto materiale, l’altro è quello dei loro fondamenti logici e ontologici.[36]

 

A) Il problema dell’ampliamento dell’oggetto

L’esigenza di ampliamento è imposta alle scienze, sia dai nuovi metodi di approccio all’oggetto materiale (metodi nuovi sorti a causa dell’insufficienza e dall’inadeguatezza dei metodi già impiegati in passato per affrontare nuovi campi di indagine), sia dallo stesso problema dei fondamenti, per la soluzione del quale occorre una revisione di alcuni aspetti di metodo e di alcuni presupposti che risultano troppo restrittivi.

          La crisi del vecchio metodo riduzionista, di fronte al nuovo affronto del problema tutto-parti sorto con la teoria della complessità ne è un esempio.

          Un altro esempio è offerto dalla teoria dell’informazione che introduce un elemento immateriale (l’informazione) nel contesto materialista delle scienze fisiche, chimiche e biologiche, suggerendo un confronto con la dottrina aristotelica della forma.

          Il problema del rapporto mente-corpo apre una serie di interrogativi su quale possa essere un modello cognitivo adeguato a trattarlo, e suggerisce un confronto con la teoria cognitiva aristotelico-tomista, un altro esempio ancora. E così via.[37]

Le risposte a problemi del genere non rimangono, poi, sul piano puramente teorico, ma hanno anche una notevole ricaduta tecnologica nel campo dell’informatica e della cosiddetta intelligenza artificiale e questo consente una certo grado di verifica pratica della loro adeguatezza.

 

B) Il problema dei fondamenti

Fino a qualche decennio per problema dei fondamenti si intendeva quasi esclusivamente il problema dei fondamenti della matematica; e questo si riduceva alla ricerca di un fondamento logico-formale della teoria dei numeri nell’ambito della logica simbolica. Per poter essere affrontato adeguatamente questo problema incominciò a richiedere un primo ampliamento della matematica: con Cantor si passò dai numeri agli insiemi,[38] e questo consentì anche un affronto del problema dell’infinito (numeri transfiniti).

Ma la nozione di insieme è più universale di quella di numero, è in certo senso più prossima a quella di ente. Di conseguenza essa fa insorgere dei paradossi se si pretende di racchiuderla in una sola definizione (univocità). Per rimuovere tali paradossi occorre diversificare diversi tipi di insieme, rispondenti a definizioni diversificate: in questa direzione si è mossa la teoria dei tipi di Russell e, in maniera ancora più semplice e geniale, la diversificazione tra classi proprie e improprie di Gödel.[39] Per chi ha qualche conoscenza della logica e della metafisica aristotelico-tomista e della matematica è difficile non confrontare queste nozioni con quelle di genere universale e ditrascendentale. Si direbbe che questo rappresenta un passo significativo di ampliamento della matematica verso una logica che include una teoria dell’analogia e verso un’ontologia. Non a caso, recentemente, è nata una nuova disciplina che va sotto il nome di ontologia formale.[40] Essa è sorta per esigenze legate all’informatica, alla logica e alle scienze cognitive, ma la sua rilevanza filosofica è evidente.

 

4. In conclusione

In questo lavoro di ampliamento delle scienze in vista di una teoria dei fondamenti di tipo ontologico-formale, ci troviamo a dover affrontare tre ordini di problemi:

          Il pirmo problema è quello di una modellizzazione per quanto possibile fedele delle teorie aristotelico-tomiste dell’analogia,[41] della causalità e più in generale della ontologia: si tratta di tradurre in un linguaggio formalizzato simbolico le corrispondenti nozioni e teorie della filosofia greca e medioevale, in modo da consentire il loro impiego e la loro verifica ed eventualmente un loro perfezionamento nell’ambito scientifico odierno.

          Un secondo problema è quello della dimostrazione dell’esistenza di un fondamento primo, che consenta di evitare un ricorso all’infinito nella catena dei sistemi assiomatici: questo tipo di risultato richiede inevitabilmente una teoria dell’analogia formalizzata. Infatti non si può dare una gerarchia dei sistemi formali se questi sono tutti dello stesso genere, perché si ricade nelle limitazioni imposte dai teoremi di Gödel.

          Un terzo problema è quello della fondazione del realismo: il passaggio dal piano logico a quello ontologico deve essere postulato come principio irrinunciabile o può essere dimostrato, nel senso che l’ente logico richiede come principio primo fondante l’ente reale extra-mentale?

Queste per ora non sono che domande, ma la ricerca in questo campo potrebbe risultare decisiva oltre che per le scienze anche per la filosofia e per la teologia. Ciò non significa che in futuro la teologia potrebbe rischiare di essere ridotta in formule (cosa per altro non così scandalosa se si pensa che con san Tommaso fu messa in sillogismi, che non erano altro che le formule dell’epoca…), ma che queste potrebbero restituirle quella strumentazione filosofica oggettiva che le è via via venuto a mancare.

E come le scienze logico-matematiche, anche le altre discipline possono porsi a lavorare sui loro fondamenti e contribuire alla elaborazione della metafisica con i loro metodi e i loro linguaggi. È l’invito che mi sembra si possa raccogliere dalle indicazioni del Magistero dalle quali siamo partiti in questa libera e non poco coraggiosa riflessione, e che vogliamo porre anche alla sua conclusione:

«Una grande sfida che ci aspetta […] è quella di saper compiere il passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento. Non è possibile fermarsi alla sola esperienza; anche quando questa esprime e rende manifesta l’interiorità dell’uomo e la sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della Rivelazione».[42]

 

* Scuola di anagogia. Ordinario di Fisica matematica all’Università di Bari e docente di Filosofia della scienza allo Studio Filosofico Domenicano di Bologna.

[1] In merito alla tematica dello stato attuale della teologia si veda G. Biffi, Riflessioni sullo stato della teologia, Piemme, Casale Monferrato 1989: si tratta di una lettura che, pur non essendo recentissima, non solo ha mantenuto tutta la sua validità, ma l’ha addirittura accresciuta alla luce degli sviluppi della teologia successiva. Altre fonti utili, in proposito, sono costituite da diversi documenti della Commissione Teologica Internazionale, che offrono un quadro e una valutazione d’insieme a proposito di alcune problematiche teologiche di grande rilievo. I documenti si trovano raccolti nell’Enchiridion Vaticanum, delle Edizioni Dehoniani Bologna 1985- (v. Indice generale).

[2] Fides et ratio, n. 97.

[3] Ivi, n. 49.

[4] Si è preferito il termine “collegato” a “causato”, in quanto vi è una sorta di mutua relazione di causa-effetto sotto aspetti diversi e complementari e non una semplice causalità unidirezionale: da un lato abbiamo una ragione che si concepisce come “debole” ed elabora (causa) una filosofia debole, e quindi una teologia debole. Dall’altro lato vediamo una ragione che ha una consapevolezza di sé debole, come effetto di una filosofia che ne teorizza la debolezza e di una teologia che “copre” con presunti argomenti di fede la propria debolezza razionale. E questo vale anche per il rapporto fede/ragione, in quanto una ragione debole offre dei fondamenti razionali poco consistenti o nulli alla fede (fideismo), e viceversa, una fede “epistemolgicamente debole” tende a ridursi ad un sentimento, più che ad essere un giudizio dell’intelletto, mosso dalla volontà e illuminato dalla Grazia. «È illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere» (Fides et ratio, n. 48).

[5] Stiamo qui esaminando, principalmente, la questione dal punto di vista epistemologico, e quindi della debolezza della ragione, senza addentrarci nel problema, propriamente ecclesiale-pastorale e insieme antropologico e sociale, della debolezza della fede, come tale, che alla debolezza della ragione si accompagna, e che ne costituisce certamente la premessa e nel contempo anche la conseguenza.

[6] Fides et ratio, n. 48.

[7] J. Ratzinger, Fede, Verità, Tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo, Cantagalli, Siena 2003, p. 75. Una conseguenza del relativismo filosofico è anche quel «relativismo religioso che porta a ritenere che “una religione vale l’altra”» (Redemptoris missio, n. 36; Dominus Iesus, n. 22). Sulla questione del relativismo il Magistero di Giovanni Paolo II si è soffermato (fino a questo momento) in ben 93 diverse occasioni. Qui basterà citare per tutte: Pastores gregis, n. 68; Ecclesia in America, n. 53; Fides et ratio, nn. 5 e 80 e specialmente Ecclesia in Europa, nn. 10, 55 e 76.

[8] ivi, p. 201.

[9] Fides et ratio, n. 105.

[10] Questo aspetto, che con il nostro linguaggio esprimiamo con la formula della “consapevolezza di essere nella verità”, da parte del soggetto conoscente, nel linguaggio di san Tommaso, non è altro che il tema della verità formale, cioè della possibilità per l’intelletto umano conoscere che i propri giudizi sono veri (redditio completa). Cfr. a proposito Summa Theologiae I, q. 16, a. 2; De Ver, q. 1, a. 9. Sul tema della verità secondo san Tommaso si può vedere utilmente lo studio di L. Fontana, Filosofia della verità. Conoscenza formale della verità e riflessione secondo san Tommaso e i tomisti, Asteria, Torino 1966.

[11] Va detto che, non ostante alcune vie siano fuorvianti, anche chi si trovasse a percorrerle, alla fine, verrebbe almeno a contribuire a verificare direttamente che esse sono cieche, facendosi carico della funzione negativa di una dimostrazione per assurdo, tuttavia non contribuirebbe a costruire in positivo una teoria filosofica.

[12] La via “negativa”, pratica e induttiva, che parte dalla constatazione della crisi di vivibilità della società umana, imponendo di interrogarsi sui principi teoretici sui quali essa si fonda, per rilevarne l’inadeguatezza e mostrare la necessità di una loro revisione complessiva, anche da un punto di vista speculativo, è stata percorsa da Giovanni Paolo II fino dagli inizi del suo pontificato: basti pensare a un testo come Redemptor homins, nn. 15 e 16. Se la ragione “speculativa” non sembra essere più in grado di elaborare direttamente una concezione corretta della realtà e dell’uomo, dovranno essere almeno le conseguenze “pratiche” delle sue deviazioni dalla verità ad interrogarla e chiederle di rivedere certi presupposti teorici (cfr. a questo proposito, anche alcune considerazioni che ho svolto in A. StrumiaL’uomo e la scienza nel magistero di Giovanni Paolo II, Piemme, Casale Monferrato 1987, pp. 24-25).

[13] A questo problema dell’individuazione dei presupposti, o fondamenti, teorici irrinunciabili anche per le loro conseguenze pratiche oltre che per quelle speculative, si collega anche la questione dei diritti umani e della libertà religiosa, ampiamente affrontata in tutto il Magistero di Giovanni Paolo II.

[14] A questo livello si devono affiancare alla filosofia anche le scienze, nel senso moderno della parola, perché i fondamenti della razionalità sono gli stessi per l’una come per le altre. Per questo impiegherò, in seguito, indifferentemente le dizioni filosofia filosofia-scienza. A questo proposito si può rilevare come la Fides et ratio, pur parlando prevalentemente del rapporto teologia/filosofia, di fatto sembra intendere la filosofia in un senso ampio, che si può paragonare a quello con cui qui stiamo parlando di filosofia-scienza. Per cui non meraviglia, ad un’attenta lettura, il fatto che i riferimenti alla scienza, in senso moderno, in essa siano meno frequenti di quanto non ci si potrebbe attendere.

[15] Fdes et ratio, n. 51.

[16] ivi, n. 57.

[17] Cfr., ad es. il discorso di Giovanni Paolo II al Pontificio Ateneo Angelicum del 17 novembre 1979 (in particolare il n. 7).

[18] Il termine grammatica ricorre frequentemente nei testi di Giovanni Paolo II, per indicare quegli elementi fondamentali irrinunciabili che sono oggettivamente comuni a tutti gli uomini, a tutte le culture, e che soli possono creare la base di ogni dialogo e di ogni conoscenza vera. Esso è si trova, ad esempio, impiegato dal Pontefice per denotare la legge naturale (cfr. Discorso alle Nazioni unite, 5 ottobre 1995, n. 3; Messaggio per la giornata mondiale della pace, 1 gennaio 2000, n. 18).

[19] Cfr. Paolo VI, Ecclesiam suam, nn. 111-112.

[20] Cfr. M. Daumas (a cura di)Storia della scienza dalle origini a giorni nostri, Laterza, Bari 1969, vol. 1, pp. 207-209.

[21] Cfr. A. Pérez de la Borda, voce “Newton, Isaac” in G. Tanzella-Nitti e A. Strumia (a cura di), Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, Città Nuova e Urbaniana University Press, Roma-Città del Vaticano 2002, p. 1998.

[22] Cfr. G. Binotti, voce “Cantor, Gerog Ferdinand”, in ivi, p. 1637.

[23] Se ben condotta questa operazione è esattamente inversa a quella cartesiana: quest’ultima, infatti, intese importare il metodo matematico entro la filosofia, al prezzo, però, di una riduzione delle nozioni ontologiche a livello di quelle matematiche. Al contrario, oggi, occorre ampliare le nozioni matematiche fino a farle divenire metafisiche, conservando il metodo formale rigoroso della logica-matematica. In tal modo si sarebbe riportata a dignità scientifica la stessa metafisica.

[24] J. Ratzinger, Fede, Verità…, op. cit., p. 142.

[25] Sia ben chiaro, si tratta qui esclusivamente di quei contenuti razionali che sono inclusi accidentalmente anche nel patrimonio rivelato (revelatum per accidens) e non certo dei contenuti che sono inattingibili per la ragione naturale e possono essere conosciuti solo mediante la fede nella Rivelazione (revelatum per se).

[26] Fdes et ratio, n. 20.

[27] ivi, n. 80.

[28] ivi, n. 55.

[29] Cfr. ivi, n. 54.

[30] a. Strumia“Libere riflessioni sulla revisione del metodo nella teologia e nelle scienze, a partire da uno scritto del Card. Giacomo Biffi”, Divus Thomas 38, (2004), pp. 137-155.

[31] Non intendo, certamente, qui, riaprire la questione della filosofia cristiana che in quegli anni fu all’origine di tante discussioni, a cominciare da quella sul senso della stessa denominazione di “cristiana” attribuita alla filosofia, ma semplicemente rilevare una qualche consonanza con il problema oggi in questione.

[32] A.D. SertillangesIl cristianesimo e le filosofie, Morcelliana, Brescia 1947vol. I, cap. I, §II.

[33] Ivi, Prefazione.

[34] Brani tratti dall’articolo di H.U. von BalthasarIl mio pensiero, testo pubblicato sul Il Sabato, 2.7.1988.

[35] Cfr. Summa Theologiae, I, q. 2, a. 3co.

[36] Per una panoramica e una bibliografia su queste problematiche si possono vedere: F. Bertelè, A. Olmi, A. Salucci e A. StrumiaScienza, analogia, astrazione. Tommaso d’Aquino e le scienze della complessità, Il Poligrafo, Padova 1999; G. Basti, Filosofia della natura e della scienza, Lateran Unviersity Press, Roma-Città del Vaticano 2002; G. Tanzella-Nitti e A. Strumia (a cura di), Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, op. cit. Una breve introduzione si trova in A. StrumiaLe scienze e la pienezza della razionalità, Cantagalli, Siena 2003.

[37] Su questi argomenti si possono vedere le voci del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, già citato. In particolare: J. Polkinghorne, voce “Riduzionismo”, pp. 1231-1236; G. del Re, voce “Complessità”, pp. 259-265; E. Sarti, voce “Informazione”, pp. 740-754; G. Basti, voce “Mente-corpo, rapporto”, pp. 920-939; e la mia voce “Materia”, pp. 849-866. Alcune di queste voci sono disponibili anche on-line nel Portale di “Documentazione Interdisicplinare di Scienza e Fede” (www.disf.org).

[38] «La rivoluzione cantoriana non trasforma soltanto alcuni settori della matematica, ma cambia il suo stesso oggetto. Per Cantor, che riprende un’idea di Bolzano, il vero concetto-base della matematica non è il numero, ma l’insieme, l’unico ente capace di tradurre integralemnte, in forma scientficamente utilizzabile, la nozione di molteplicità», G. Binotti, voce “Cantor, Georg Ferdinand”, op. cit., p. 1637.

[39] Cfr. K. GödelOpere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 38.

[40] Per una bibliografia si può vedere utilmente il sito intenret dedicato alle ricercche sull’ontologia formale (www.formalontology.it).

[41] Una serie di studi recenti sull’analogia e la sua modellizzazione è presentato in G. Basti e C. Testi (edd.), Analogia e autoreferenza, Marietti 1820, Genova 2004, frutto del lavoro di alcuni studiosi oggi confluiti nel gruppo di ricerca sui “Fondamenti logici e ontologici delle scienze”, che opera presso l’Istituto Veritatis Splendor di Bologna, in collaborazione con l’Istituto Filosofico di Studi Tomsitici di Modena (gruppo, diretto da G. Tanzella-Nitti e da me, che si avvale di un cofinanaziamento del Servizio Nazionale per il Progetto Culturale della CEI e dello stesso Istituto Veritatis Splendor).

[42] Fides et ratio, n. 83.